L’Elettronegatività

CHE COS’É L’ELETTRONEGATIVITÀ

Chiunque abbia un po’ di familiarità con la Chimica ha sicuramente sentito nominare l’elettronegatività più di una volta nella sua corriera scolastica e\o lavorativa perchè questa proprietà periodica viene tirata in ballo in tantissime occasioni. Quando si vuole interpretare un determinato risultato oppure quando si cerca di attribuire una spiegazione del perchè è avvenuto un certo fenomeno e non un altro, l’elettronegatività in un modo o in un altro compare sempre.

Dicevamo che l’elettronegatività è una PROPRIETÀ PERIODICA e questo significa che avrà un andamento oscillante lungo tutta la Tavola Periodica, simile a quanto accade per le altre proprietà periodiche.

Prima però di vedere come si muove l’elettronegatività lungo la tavola periodica è ovviamente opportuno andare a definire questa parola per capire meglio di cosa stiamo parlando ed evitare così fraintendimenti.

La definizione che possiamo attribuire all’elettronegatività è la seguente:

Per elettronegatività intendiamo la tendenza di un atomo di attirare a sè gli elettroni di legame quando esso è impegnato in un legame chimico.

Vediamola in un caso reale

Nella definizione abbiamo detto che questa è una proprietà che si riferisce ad un singolo atomo, andiamo quindi a prenderne uno e vediamo come questo atomo si comporta all’interno di alcune molecole visto appunto che questa proprietà si manifesta quando abbiamo il nostro atomo legato a un altro.

L’atomo che analizzeremo è un atomo di CLORO (Cl) e vediamolo inserito in diversi contesti molecolari, sia organici che inorganici. (Per semplicità prenderemo solo molecole che presentano legami covalenti)

Le molecole che osserveremo sono le seguenti:

Acido cloridrico
Cloruro di tionile
Cloruro di metile

Di seguito sono state appunto rappresentate 3 molecole contenenti almeno un atomo di Cloro, le prime 2 sono delle molecole tipicamente inorganiche mentre la terza è una molecola organica usata spesso come solvente. Per quale motivo ho rappresentato queste molecole? Hanno a che fare con il concetto di elettronegatività, se sì, come?

In figura oltre alle molecole sono state anche rappresentate in maniera molto schematica le distribuzioni di carica (i simboli in verde) insieme ad una freccia rossa che indica la direzione nella quale gli elettroni vengono “tirati“. L’atomo da cui parte la freccia, in particolare nel nostro caso si tratta di H, S e C sono gli atomi i cui elettroni vengono tirati dall’atomo a cui punta la freccia, in questo caso l’atomo di Cl.

Se abbiamo una regione spaziale che ha una densità elettronica maggiore, cioè contiene più elettroni, allora quella regione avrà una parziale carica negativa mentre una regione a minor densità elettronica avrà una parziale carica positiva. Il Cloro andando a “tirare” gli elettroni degli atomi a cui è legato viene a trovarsi con un po’ di carica negativa in più mentre gli altri atomi avranno un po’ di carica positiva in più. (Ovviamente non stiamo parlando di frazioni di carica elettronica, nel nostro Universo non è consentito, tale distribuzione va vista in un’ottica temporale)

Notiamo quindi che queste molecole presentano tutte e 3 dei così detti dipoli, cioè hanno un polo positivo e uno negativo. Quello che abbiamo fin ora descritto è un dato di fatto perchè sperimentalmente si osserva che queste molecole si comportano proprio in questo modo. Notiamo che come atomo “ricevente” è sempre stato usato il Cloro e non è un caso.

Sappiamo che ogni atomo cerca di completare il suo ottetto in maniera da avere una configurazione elettronica simile al gas nobile più vicino e questo comportamento spinge alcuni atomi a fare letteralmente i salti mortali per riuscire a ottenere questa stabilità. Al Cloro in particolare manca un solo elettrone per completare il suo guscio più esterno e ottenere così la configurazione elettronica dell’Argon (Ar). Questo fa sì che l’atomo di Cloro abbia una tendenza molto spiccata ad attirare a sè elettroni visto che ne ha bisogno per stabilizzarsi.

In particolare si dice che il Cloro ha un’elettronegatività maggiore rispetto agli atomi a cui è legato nelle molecole appena viste perchè ha una forza maggiore nell’attirare a sè gli elettroni in un legame covalente.

COME LA SI MISURA?

Nel paragrafo precedente abbiamo appunto visto che sicuramente il Cloro ha un’elettronegatività maggiore rispetto all’Idrogeno, allo Zolfo e al Carbonio perchè la parziale carica negativa si trova in tutte e 3 i casi proprio sull’atomo di Cloro. Abbiamo quindi descritto in maniera qualitativa il concetto di elettronegatività senza dare nessun numero.

Esiste un qualcosa che mi permette di quantificare, cioè di attribuire un numero, ai vari elementi della Tavola Periodica e vedere le varie tendenze che gli atomi hanno nell’attrarre a sè gli elettroni di legame? In realtà la risposta a tale domande è molteplice, nel senso che esistono diversi modi per calcolare e rappresentare l’elettronegatività. In questo articolo sarà rappresentata solo l’elettronegatività secondo la scala di Pauling, che risulta essere il modo più usato per calcolarla.

Siccome l’elettronegatività non è un parametro fisico, cioè non è una proprietà intrinseca della materia come ad esempio la massa di un atomo o il suo raggio, non esiste quindi un solo modo di calcolarla ma ogni volta la si determina in base a diversi parametri, dipende tutto dalla situazione in cui ci troviamo e quali informazioni vogliamo ottenere. C’è da precisare che ogni scala di misura dell’elettronegatività è vero che fornisce dei numeri diversi ma questi numeri nel complesso creano un andamento generale, vedremo a breve come questa proprietà varia lungo la Tavola Periodica e questo andamento è pressochè uguale in tutte le scale, ci saranno ovviamente piccole modifiche locali ma l’andamento generale rimane quello.

In particolare la scala di Pauling tiene in conto solo l’energia di dissociazione dei legami delle varie molecole e non prende minimamente in considerazione parametri come l’affinità elettronica e l’energia di prima ionizzazione.

L’ANDAMENTO LUNGO LA TAVOLA

Andiamo ora a vedere come varia l’elettronegatività lungo la Tavola Periodica andando a vedere sia l’andamento periodico sia la tavola nella sua interezza.

Calcolando i vari valori di elettronegatività secondo la scala di Pauling e mettendoli in grafico in funzione del numero atomico, quello che si ottiene è il seguente grafico:

Vediamo quindi che l’andamento è proprio periodico perché notiamo delle oscillazioni continue lungo tutta la Tavola Periodica. Analizziamo ora i punti più importanti per riuscire poi a delineare delle generalità applicabili in ogni circostanza.

Notiamo che ci sono sia dei massimi che dei minimi.

MASSIMI: Se osserviamo con attenzione il numero atomico di ogni massimo ci accorgiamo che corrispondono proprio ai numeri atomici degli alogeni. In particolare il primo massimo, cioè il più intenso è quello riferito al Fluoro che ha un numero atomico pari a 9. In ordine decrescente abbiamo poi il Cloro a 17, il Bromo a 35 e lo Iodio a 53.

MINIMI: Andando a osservare per quali numeri atomici si hanno i minimi ci accorgiamo che questi sono i numeri riferiti proprio ai metalli alcalini, notiamo infatti che il primo minimo è associato al numero atomico 3, cioè quello del Litio. Successivamente incontriamo a 11 il Sodio, a 19 il Potassio, a 37 il Rubidio a 55 il Cesio e infine abbiamo il Francio a 87.

Notiamo anche che a partire dal numero atomico 3 fino al 9 l’elettronegatività continua a crescere fino a un massimo e subito dopo scende in basso appena arriva al nuovo metallo alcalino, in questo caso 11 e cioè il Sodio. Questo andamento è analogo per tutti e 7 i gruppi della Tavola Periodica. Abbiamo quindi un progressivo aumento di elettronegatività andando lungo un periodo.

Se consideriamo ora i singoli gruppi vediamo che la situazione è opposta e cioè scendendo lungo un gruppo l’elettronegatività scende. Osservando con attenzione i vari massimi di questo grafico, e cioè i valori descritti precedentemente per gli alogeni, notiamo un andamento verso il basso. I massimi tendono ad abbassarsi sempre di più aumentando il numero atomico.

Avendo ora in mente questi andamenti possiamo ora generalizzare il tutto andando a vedere come si muove l’elettronegatività lungo la Tavola Periodica.

Andamento generale dell’elettronegatività

Le frecce indicano la direzione in cui l’elettronegatività cresce.

INTERPRETIAMO I DATI

Un valore più alto di elettronegatività indica che se questo atomo è impegnato a formare un legame allora è molto probabile che gli elettroni di legame passino molto più tempo intorno a questo atomo.

Nella nostra scala, e in realtà anche in tutte le altre, l’atomo a maggior elettronegatività è il Fluoro. Questo è un risultato del tutto atteso visto che il Fluoro è un alogeno e come ben sappiamo ha posto ancora per un elettrone nel suo guscio più esterno e di conseguenza farà il possibile per ottenere questo elettrone. Il perchè il Fluoro è più elettronegativo rispetto agli altri alogeni è presto detto, il Fluoro ha pochi elettroni intorno a sè ed è un atomo molto piccolo, questo significa che il suo nucleo, caricato positivamente, sarà più propenso ad attrarre un elettrone che è carico negativamente visto che la schermatura data appunto dagli elettroni non è così significativa come nel caso degli altri alogeni. L’andamento verso valori sempre più piccoli di elettronegatività all’interno dello stesso gruppo si può interpretare immaginando che più si aumenta il numero atomico e più il nucleo atomico sarà confinato dentro una spessa nuvola di elettroni e quindi sarà difficile per lui andare a prendere altri elettroni più esterni. Le forze di attrazione elettrostatiche tendono a diventare sempre più deboli all’aumentare della distanza tra le cariche. Ecco perchè lo Iodio è meno elettronegativo rispetto al Fluoro, il campo elettrico generato dalla carica positiva va a scendere come intensità all’aumentare della distanza.

Dall’altra parte abbiamo i minimi quando ci troviamo davanti ai metalli alcalini, questo risultato può essere interpretato sapendo che questi metalli hanno un singolo elettrone nel loro guscio più esterno e per ottenere la configurazione elettronica del gas nobile più vicino devono perdere un elettrone e non acquistarli. In questo modo i metalli alcalini sono gli elementi meno elettronegativi di tutta la Tavola Periodica.

Per concludere non ci resta che giustificare il perchè si ha un andamento crescente andando lungo un Periodo. A partire da un metallo alcalino e arrivando all’alogeno dello stesso Periodo si ha un continuo incremento di elettronegatività e questo è dovuto principalmente all’aumento progressivo del carattere di non-metallo di questi elementi, diciamo che andando lungo un Periodo gli elementi tendono a perdere progressivamente le proprietà dei metalli alcalini e acquistano proprietà più simili a quelle degli alogeni. Una spiegazione più completa può essere fornita andando a considerare la carica nucleare efficace, in questo caso l’aumento del numero di protoni a parità di livello energetico elettronico determina una forza attrattiva da parte del nucleo più intensa.

Se notiamo non abbiamo mai citato i gas nobili quando abbiamo parlato di elettronegatività, perchè? La risposta è abbastanza facile e risiede proprio nella definizione data all’inizio. Siccome questi elementi non formano legami chimici con nessun elemento allora non c’è bisogno di considerare la loro tendenza ad attrarre elettroni visto che non ne hanno bisogno, il loro guscio elettronico più esterno è già pieno.

A COSA SERVE L’ELETTRONEGATIVITÀ

Ora che abbiamo parlato in lungo e in largo di elettronegatività veniamo a qualcosa di più pratico, e cioè quando è che questo concetto si usa nella Chimica? Cominciamo con il dire che moltissime proprietà delle molecole possono essere descritte in termini di elettronegatività quindi per motivi di spazio non starò ad elencarle tutte. Facciamo giusto 2 esempi che si incontrano più di frequente.

Polarità

La polarità o meno di una molecola può essere facilmente interpretata e prevista andando proprio a tirare in ballo l’elettronegatività. Usando la scala di Pauling si è osservato che quasi in tutte le molecole dove si ha una differenza di elettronegatività di almeno una coppia di atomi superiore a 0,5 quel legame darà origine a un dipolo.

Per capire meglio il concetto prendiamo come esempio proprio la molecola di acido cloridrico:

Abbiamo detto che sperimentalmente in questa molecola si riesce a misurare un dipolo elettrico dato dalla distribuzione asimmetrica di cariche, una parziale carica positiva sull’atomo di H e una parziale carica negativa sul Cl. Per quanto descritto fino adesso questa molecola viene catalogata come molecola “polare”.

Possiamo in qualche modo prevedere a tavolino la polarità di una molecola senza dover per forza andare a determinare sperimentalmente il suo dipolo elettrico? La risposta è , se ci affidiamo all’elettronegatività.

In particolare dicevamo che se una coppia di atomi legati tra di loro presenta una differenza di elettronegatività maggiore di 0,5 allora quel legame si potrà definire polare. Nella scala di Pauling i valori di elettronegatività per H e Cl sono: 2,2 e 3,16.

Facendo la differenza tra il valore maggiore e quello minore quello che otteniamo è:

3,16-2,20 = 0,96

Siccome questo valore è maggiore di 0,5 possiamo affermare che il legame Cl-H è sempre un legame polare.

In questo caso specifico dove abbiamo solo un legame e questo è polare allora anche la molecola nella sua interezza sarà polare, bisogna però dire che la polarità di una molecola dipende sì dalla differenza di elettronegatività dei legami ma è una condizione necessaria ma non sufficiente. Per decidere se una molecola nella sua interezza è polare bisogna andare a osservare anche la sua geometria tramite la teoria VSEPR.

ACIDITà DEI COMPOSTI ORGANICI

Una delle applicazioni più importanti in Chimica Organica per quanto riguarda il concetto di elettronegatività è senza ombra di dubbio la descrizione dell’acidità dei vari composti. Prendiamo come esempio l’acido acetico e l’acido trifluoroacetico.

Acido acetico

pKa = 4,76

Acido trifluoroacetico

pKa = -0,25

Questi 2 acidi sono molto simili tra di loro, l’unica differenza è data dal fatto che uno presenta 3 atomi di Fluoro al posto dei 3 atomi di Idrogeno a cui siamo abituati. Questo cambiamento ha un effetto sulle proprietà della molecola?

Per queste molecole sono state anche rappresentate le pKa, cioè un valore che descrive quanto un composto è acido, più questo valore è basso e più il composto è acido. Ricordiamoci che la variazione di un’unità di pKa corrisposte a un fattore x10 visto che la lettera “p” messa davanti a Ka indica una scala logaritmica in base 10.

Notiamo che tra l’acido acetico e il trifluoroacetico c’è una differenza di pKa di circa 4 e questo significa che l’acido trifluoroacetico è quasi 10.000 volte più acido dell’acido acetico. Questi sono i dati sperimentali ma come interpretiamo tale risultato? Ovviamente facendo ricorso al concetto di elettronegatività si riesce a spiegare in maniera semplice questo fatto.

Sappiamo che un acido è tanto più forte quanto più stabile è l’anione che si crea dopo aver perso un H+, in questo caso dalla dissociazione acida di questi 2 composti otteniamo i seguenti anioni:

Anione acetato
Anione trifluoroacetato

Se l’acido trifluoro acetico è un acido più forte allora significa che l’anione che si crea è più stabile rispetto all’anione acetato. Questo fatto può essere spiegato immaginando che la carica negativa che si viene a formare sull’atomo di O sia parzialmente delocalizzata anche sugli atomi di F che essendo molto elettronegativi tendono ad attrarre a sè densità elettronica.

Siccome gli atomi di H sono meno elettronegativi rispetto al Fluoro allora l’anione acetato è meno stabile visto che la carica negativa avrà meno possibilità di delocalizzarsi anche sugli atomi di H. Più una carica è delocalizzata e più la molecola che la contiene è più stabile.